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21/07/2021
Daniele Rapisarda: dal Friuli a Tokyo, intervista al fischietto internazionale

 

“L’arbitro è come la cornice di un quadro. Non vai a vedere il quadro per la cornice. La cornice però deve essere bella, elegante, deve valorizzare il quadro. E così l’arbitro deve essere trasparente e non protagonista, parte del gioco senza farsi notare. Ai corsi spesso ripeto che i nostri datori di lavoro e i nostri clienti sono le società. Siamo lì per collaborare, non per fare il maestro o il comandante in casa d’altri”.

Parlare con Daniele Rapisarda - udinese, classe 1968, arbitro di serie A dal 2002, internazionale dal 2011, responsabile dei fischietti del Friuli Venezia Giulia ed ora unico direttore di gara italiano alle prossime Olimpiadi di Tokyo - è decisamente piacevole. Quella che voleva essere una tradizionale intervista con domande e risposte si è subito trasformata in una amabile conversazione in cui la pallavolo è stata il filo conduttore servito per conoscere quello che è diventato, dal seggiolone, uno straordinario interprete dello sport che amiamo, un esempio per chi condivide con lui “una passione che ti viene, qualcosa che ti prende dentro”.

Ecco, appunto. Quand’è che scatta la molla che spinge ad iscriversi ad un corso arbitri, per poi rischiare di essere criticato al primo sbaglio? Quello di Daniele è un passato di giocatore, “ed ero rompip…. Mi ricordo le litigate. Un giorno mi sono infortunato, così ho scelto di fare il corso per imparare di più, per poi saper gestire meglio il rapporto con i fischietti. Alla fine non ho ripreso a giocare ma da allora ho capito che l’arbitro deve essere anche empatico, deve saper trasmettere fiducia. E ora cerco di insegnare che anche una fase di ascolto aiuta”.

Chiacchiera volentieri, Daniele. Racconta episodi della sua lunga e brillante carriera, fa qualche esempio pratico, di situazioni più rare e più complicate. “Se una squadra vuol fare osservare che c’è stato un fallo oggettivo, ad esempio un attacco di un giocatore difensore, un direttore di gara deve ascoltare il capitano (e questo è generalmente possibile solo se la richiesta è fatta in modo corretto ed educato), ringraziare e ammettere di non essersene accorto”. Insomma “lasciare parlare il capitano qualche secondo è importante, contribuisce a creare un clima favorevole”.

Ben venga dunque un “confronto maturo, privo di pregiudizi”. Tutto facile, dunque? Neanche per sogno. Perché “se fai tutto giusto non ti nota nessuno ma al contrario alla prima cosa sbagliata finisci sotto i riflettori”.

Tant’è che accade, ora più che in passato, che “in molti abbandonano alle prime difficoltà e a causa degli stimoli extravolley”. Ma gli arbitri servono, eccome, e quindi occorre un continuo reclutamento. Rivolto a chi? Ovviamente a chiunque possa nutrire questa passione ma “prevalentemente tra i giocatori, con il supporto delle società”, dice. “Per chi conosce il gioco è più facile imparare e sarà più agevole essere accolto positivamente sul campo”. E in ogni caso “fare un’esperienza arbitrale forma come uomo, come giocatore, tecnico, dirigente e anche in famiglia e sul lavoro”.

“Una volta per un neo allenatore al termine del corso era obbligatorio fare una decina di arbitraggi. Serve a capire che lassù le cose cambiano radicalmente, ci si rende conto che il processo decisionale è complicato, rapidissimo”.

Anche qua sembra tutto facile, da come Rapisarda ci racconta le cose. Per cui chiediamo se un arbitro può permettersi una giornata cattiva, che può capitare nella vita di ogni giorno, e se è vero che è ineludibile che uno si porti dietro la fama, positiva o negativa, che si è costruito.

Sul primo punto la risposta è, ancora una volta, molto precisa: “con l’esperienza si deve imparare a gestire anche un momento difficile. Ma se la cosa si ripetesse troppe volte però c’è anche il rischio di farsi una reputazione non favorevole”.

“Se parliamo di tornei regionali, va detto che la quinta serie di un Paese ha necessariamente a che fare con arbitri di quinta serie. Non si può pretendere di essere arbitrati da un fischietto di serie A”. Tuttavia “cerchiamo di dare sempre il massimo ma quello che manca secondo me è la conoscenza reciproca, la comprensione delle difficoltà e dell’impegno”.

A questo punto chiediamo se per creare condizioni positive tra tutte le componenti potrebbe essere opportuno organizzare incontri periodici. “Qualche tempo fa abbiamo promosso un confronto tra gli arbitri e tutti gli oltre 100 allenatori del Friuli Venezia Giulia. Sono venuti in sette, di cui uno per lamentarsi che la sera prima la direzione di gara era stata sfavorevole. Altrimenti sarebbero stati in sei ….”.

La conversazione prosegue, ci accorgiamo che siamo al telefono da oltre tre quarti d’ora e gli argomenti da affrontare sarebbero ancora tanti. E non abbiamo ancora parlato di Tokyo, per lui “prima e ultima Olimpiade, fra due anni secondo regolamento smetto”. Ripete quanto aveva affermato a Volleyball.it nel gennaio dello scorso anno, quando gli arrivò la notizia di essere stato selezionato dalla Fivb per rappresentare l’Italia alla manifestazione a cinque cerchi, che avrebbe dovuto tenersi nell’estate 2020 ma che è slittata a causa della pandemia. “Quando ho aperto la mail, contenente la designazione, è stata un’emozione fortissima. Poter prendere parte ai Giochi olimpici rappresenta il grande sogno. Dietro a questa chiamata ci sono tanti anni di impegno e passione. La pallavolo come tutti gli sport ad alto livello assorbe tempo, ma in cambio dà tanto”.

Ecco appunto. Tempo e impegno. Ma di solo volley non si vive. Daniele Rapisarda, che a Udine aveva frequentato lo scientifico Martinelli, ha una laurea in Chimica, lavora in una ditta  farmaceutica, ha una moglie e due figli piccoli. Come conciliare il tutto? La ricetta è apparentemente lineare. “Mi organizzo con le ferie, ho il pieno appoggio del mio capo, l’azienda comprende e mi sostiene. Mia moglie mi ha conosciuto che ero già così”. 

Traspare insomma anche da queste affermazioni il clima favorevole che Daniele ha saputo creare. In campo e fuori dal campo. Complimenti Daniele e in bocca al lupo per Tokyo e per il futuro!